lettera aperta
Carissime e Carissimi, vi scrivo perché sento che è importantissimo farlo, forse in questo momento è quasi vitale. Lo faccio qui, ma avrei voluto farlo con penna e carta da lettere: una bella carta, pensata giusta, come quelle di una volta. Negli anni ho scritto tanto: chilometri e chilometri di carta che mi sono trascinato da una casa all’altra, ogni nuovo trasloco. (Qualcuno sull’argomento amava chiosare lapidario: «Tanto la carta si lascia scrivere!». Sigh…) Ho perfezionato, limato, pubblicato anche: quasi clandestinamente. Visto e rivisto racconti, recensioni, lettere e altro; revisionando per mesi, a tappe regolari, fino a rischiare di reinnestare la stessa punteggiatura.
Ma questo progetto, questo nostro Ansdràshanlòsendài è qualcosa di molto diverso. Nato all’insegna della libertà, sviluppato sotto l’egida della non gabbia, fuori dal coro, extra margine, via da tutte le griglie: pur necessitando di molta precisione, lascia spazio alla voglia di provare, anche solo per il percorso che porta allo spettacolo. Alcuni infatti partecipano proprio per il gusto di esserci: in gioco insieme.
Il lavoro che abbiamo cominciato a fare così bene in Gruppo è una sorta di apologia della non parola. Quel linguaggio inventato senza regole scritte, quasi una liberazione! un parlare mescolato ma preciso: emozionato ed emozionante, che ognuna ed ognuno, lentamente, con fragilità, giocosamente, con i suoi tempi e tutto il tempo necessario sta arrivando a fare suo: a sperimentarlo, ad amarlo quel linguaggio!
Tutto questo tempo improvvisamente è diventato pochissimo, si è consumato, esaurito, precipita! precipita ora dopo ora davanti ai nostri occhi, di fronte a noi che non riusciamo a capacitarci; a noi che ancora ci chiediamo come sia possibile, e riformuliamo giorno su giorno una realtà nuova, inattesa, strana.
Chissà quanti sentimenti, e che subbuglio nel nostro animo! nel più intimo dei nostri pensieri. A volte i timori si cerca di mascherarli: ci nascondiamo scherzosi dietro un video umoristico, una battuta ironica, una faccia buffa per i nostri bambini; ma loro intuiscono, sistemano tutto il detto con il non-detto, e capiscono. Forse hanno già capito prima di noi e cercano di adattarsi a codici nuovi che ancora non sanno spiegare; ma la spinta alla vita è così forte dentro di loro che sorridono, ridono e spingono a sorridere anche noi che forse ci stiamo lasciando andare a un momento di quasi inevitabile scoramento.
Giochiamoci quel quasi! Giochiamocelo tutto. Come fanno i vecchi, con il loro concentrato misto di ironia. Mistico cinismo? Forse. Fatalismo? Forse. O magari solo sano egoismo mischiato a istinto di sopravvivenza. Noi, che siamo della generazione di mezzo, spesso ci sentiamo tirare da una parte e dall’altra e dobbiamo tener botta o perlomeno tentiamo mentre continuiamo a farlo, certi che sia l’unico modo per riuscire.
Questi più o meno sono i sentimenti e il turbinio di emozioni che mi spingono a scrivervi: con la stessa energia di un bambino e la caparbietà di un vecchio. Non molliamo! La nostra voglia di fare, di continuare a provarci nel nostro bel progetto demenziale, che così bene abbiamo cominciato, diventi per noi un simbolo: un propulsore di idee, un pensiero collettivo a cui rivolgerci quando ci sentiamo disorientati e sfatti e ci verrebbe quasi voglia di lasciar perdere. Rialziamoci! Alziamoci in volo, prendiamo quota e continuiamo a sognare più forte che mai!
Abbracci Grandi e Clandestini.
A presto! Vi voglio tanto bene.
marzo - aprile 2020, Claudio Quinzani